lunedì 16 agosto 2010

Tutta scena

Sarà forse che in questi giorni sto pensando all'ironia centripeta ed intrinseca che si porta dietro, suo malgrado, la località di Pizzo Calabro. Avreste mai pensato, voi, a creare un nome così perfettamente, comicamente stereotipato? Dove vai in vacanza quest'anno?, dice uno. A Pizzo Calabro!, risponde l'altro. Che sarebbe un po' come dire Xenofobo Trevigiano o Panettone Milanese, non so se rendo bene l'idea. O forse perché mi incazzo nel vedere sempre al centro della cronaca un ometto come Gianfranco Fini: a manca esaltano l'ennesima sua trasformazione anti-berlusconiana (sicuri?), a destra lo crocifiggono banalmente con la consueta, fascistissima mancanza di stile. Tutto questo (il comportamento di Fini) avrebbe un nome sul vocabolario, cioè (continuo) opportunismo: lemma assente tanto nel roboante assetto della sua nuova formazione politica quanto nel sottoscala dell'appartamento di Montecarlo. Ma finiamola di fare i Travaglio della situazione (anche perchè dichiaratamente NON pro-sionisti, e adesso non tirate fuori Auschwitz) e veniamo al punto.

Mi gingillo in questi minuti con l'omonimo esordio dei trevigiani Vermillion Sands (vi riporto ancora una volta sul sito di rockit perché, senza piratare un cazzo, potete ascoltarvi tutto il bell'album aggratis) e mi accorgo drammaticamente, per l'ennesima volta, di quanto la musica italiana sia piramidalmente strutturata a scene. C'è la scena garage, la scena post-core, la scena new wave, il revival noise, i cerotti metal. Tutto chiuso in sé stesso, come piccoli scatoloni dal sigillo ermetico. Zero comunicazione (o quasi) fra gli artisti dei vari ambiti. D'accordo, se a me piace fare la cover di Transmission dei Joy Division nessuno mi dovrebbe forzare, controvoglia, ad ascoltare Bob Rifo dei Bloody Beetroots che se ne esce con pipponi sul nichilismo torinese degli anni '80 salvo poi mandare un sms a Steve Aoki: è fuori discussione. Ma in tempi come questi, dove veramente ognuno al mondo può pigliare in mano un qualsivoglia tipo di strumento, mettere due note in croce, pubblicare su MySpace ed avere il quarto d'ora di notorietà più warholiano della sua misera vita, la cosa perplime un pochino.

Se all'estero si parlasse di temi su questa falsariga, ho come l'impressione che ci riderebbero dietro e poi, passata la sbornia del paradosso, ci manderebbero via a calci in culo. Non esistono scene: l'unica vera scena è quella del palco dove, semplicemente, si suona musica. Il rock granitico, testosteronico, psichedelico dei Motorpsycho che viene centrifugato dall'acid/cool/cazz'è jazz dei Jaga Jazzist, in Norvegia. Il rock lo-fi del compianto Mark Sparklehorse Linkous a spasso tra i glitch dell'austriaco Christian Fennesz, in America. Ma sono, tutto sommato, esempi del cazzo. Se ne potrebbero fare decine di altri e ancora non se ne verrebbe a capo. Per dire cosa? Che sono meglio di noi? O diversi da noi?

Diceva Jònsi, cantante dei Sigur Ròs, in un'intervista di qualche anno fa, che il governo islandese, pur nella crisi che ha devastato il piccolo stato nordico preda di una terrificante bancarotta (giovani comunisti, mi state simpatici, ma avete visto cosa succede a nazionalizzare le banche?), finanzia costantemente il mondo della cultura giovanile e mette a disposizione sovvenzioni economiche per gli artisti. Così è un continuo fiorire di band, musica, dischi, e la qualità si mantiene su livelli financo eccelsi, perché l'entusiasmo chiama entusiasmo, la partecipazione si trascina dietro partecipazione.

A noi, invece, tocca questo, e la gente applaude.

Sapete che vi dico?

Vaffanculo all'incomunicabilità, è già tanto se qui c'è rimasto qualcosa.

P.S. Il disco dei Vermillion Sands è da 7,5.
P.P.S. A Pizzo Calabro c'è andata tre mesi come animatrice la Angela Sette.

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