giovedì 10 giugno 2010

Motorpsycho - Little Lucid Moments

1) Little Lucid Moments (21.05)
2) Year Zero (A Damage Report) (11.26)
3) She Left On The Sun Ship (14.25)
4) The Alchemyst (12.27)

Quello che le donne non dicono. Non ve lo diranno neanche loro, probabilmente. O forse sì. Ci hanno messo degli anni per capire come si suonava. Altri anni per costruire capolavori sui loro progressi. Poi hanno alzato la testa, si sono guardati attorno e sono saliti in soffitta, a ripescare i vinili che avranno sicuramente ascoltato da bambini. Quelli di hard rock, presente?, quelli di proto metal, quelli di free jazz, quelli di psichedelia.

C'è chi li dava per spacciati già nel 2000. Non stupitevi, il mondo è pieno di gente così. Se solo ci fossero più Motorpsycho a controbilanciare... Fortuna o sfortuna, però, di Motorpsycho ne esiste solo uno. Anzi, due: il film di Russ Meyer e questi tre (ex?) giovanotti barbuti norvegesi. Che dopo aver rovistato in lungo ed in largo il metal, l'hardcore, il pop psichedelico, lasciato tracce nell'hard rock, nel kraut, nello stoner si accontentano (si fa per dire) di scrivere un disco come "Little Lucid Moments". Quattro pezzi e un'ora di durata.

Canzoni tutte sopra i dieci minuti (la title-track va oltre i venti) e qui potrebbe scattare il caratteristico indie-Arzercavalli assault che palle! Se non fosse che. Per certi versi è persino inutile discuterne: qui si parla, al nocciolo, di rock di una volta. Vecchiume, magari, eppure non ho mai sentito nessuno, tranne loro, saper coniugare con tale naturalezza lame taglienti, vene armoniche e liberi viaggi anarchici nell'Iperuranio. Prendiamo Little Lucid Moments, la canzone: why not? Uno potrebbe pensare che, con una durata così dilatata, anche la forma sonora possa seguire dettami il più rarefatti e sfuggenti possibile, in modo da contornare la (poca) sostanza effettiva con una fitta ragnatela di noia. Inutile dire che il muro di suono che prorompe, impetuoso, sin dal primo secondo, con quell'apertura tumultuosa di batteria, è uno schiaffo che raggiunge le convinzioni di chi ascolta. Stoner malleato verso una gentile vena pop, che si sospende su arpeggi floydiani prima, poi riparte, lacerato da scorie noise (fissate il cronometro a sei minuti, un passaggio che vale un patrimonio), si disfa nell'acido ed infine si ricompone, in una veste Blue Cheer facile alla deflagrazione.

Andiamo avanti? Andiamo avanti. Year Zero (A Damage Report): una carica lenta, blues sognante che si protende in là, sempre più in là, si blocca per un istante e poi esplode, in mille nostalgici frammenti. Non perdete tempo a raccoglierli, She Left On The Sun Ship non ve ne darà l'occasione. Attacco acidissimo, da buchi per terra, rinforzato da una selva di chitarre che improvvisamente spariscono, lasciando la nudità di uno splendido basso a scavare trincee e una voce graffiante a rinforzarlo. Il resto è storia, una rincorsa verso il nulla nell'iterazione del tema principale, in calando, e di mille temi secondari affiancati ad esso. The Alchemyst, infine, svela la vena più melodica dei quattro, martellando un motivetto hard-beat disgregato in dodici minuti e mezzo di rock psichedelico.

Se non ve ne innamorerete, non avete un cuore.

P.S. Per chi fosse interessato, i Motorpsycho hanno nel frattempo inciso altri due dischi: "Child Of The Future" (7/10) e "Heavy Metal Fruit" (8/10).

Marco

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