venerdì 9 luglio 2010

These Monsters - Call Me Dragon


1) Call Me Dragon (4.42)

2) Dirty Messages (8.04)

3) Tall Sick Man (5.19)

4) Biggie And Tupac (1.04)

5) Harry Paton (6.07)

6) Space Ritual (6.31)

7) Deaf Machine (6.38)


Post rock non arpeggiato e senza troppi saliscendi. Figo, vero?
Metal strumentale e psichedelico che non va oltre i dieci minuti. Figo, vero?
Noise rock con il sax. Figo, vero?

Bene, ora centrifugate questi tre ingredienti (ognuno con le sue percentuali, nell'ordine: 25, 35 e 40%) ed otterrete quattro ragazzotti inglesi che, piantati in mezzo ad una strada come scimmie artiche con i klaxons infastiditi dei camionisti a tutt'alè, delle atmosfere d'Albione e del British humour proprio non sanno che farsene. I These Monsters sono atipici sin dalla scelta del nome e dalla pessima copertina, ma bastasse questo a salvarli dalla mediocrità. Anzi, scommetto in pieno che, incapaci di dirigere il proprio intelligente flusso musicale al di là della cerchia di appassionati, ci finiranno mestamente, nel grigiore di vigogna. Questo, lo avrete certamente capito, è un problema. Perché "Call Me Dragon", il loro esordio di appena qualche mese fa, avrà forse un timbro non originale od una miscellanea di idee tutto sommato vetusta, ma è il tassello perfetto per andare ad esplorare il percorso (o la riscoperta?) del sax e degli stilemi jazz all'interno della musica pesante.

Un difetto? Talvolta il disco appare breve, troppo breve. Come troppo belli sono gli intrecci di fiati e sei corde, in lunghi dipanarsi ed attorcigliarsi strumentali che raramente includono la voce, comunque distorta e filtrata il più possibile. Brani eleganti, sinuosi, che colpiscono con la grazia di uno scenografo professionista e la ferocia composta di un samurai. Timbri maltrattati, usurati, svalvolati e ricomposti in quadri di bucolico disordine: riff e contorsioni tooliane a braccetto con gli Henry Cow, l'impatto nitido e poetico dei Long Distance Calling a scontrarsi ed amalgamarsi in un solo, fluido gesto con John Coltrane.

Dire cosa sia meglio di cos'altro è affaire che riguarderà soltanto voi. Le cariche detonanti della title-track o il mantra scalare Dirty Messages? La danza imperscrutabile ed impossibile da etichettare (Space Ritual) o la violenza bombastica del noise-core alle prese con il math (Tall Sick Man)?

Noi ci limitiamo ad un consiglio spassionato: perdetevi dentro...

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