Iniziamo a scaldare il blog con un po' di recensioni cinematografiche.
Indispensabile la seguente premessa: scordatevi qualsiasi recensione scritta come si deve, con termini appropriati, con lessico meramente cinematografico. Per tutte queste richieste rivolgetevi a un qualunque dizionario Mereghetti o Morandini, oppure continuate a vagare per il web.
Dopo questo breve inciso..MILANO ODIA : LA POLIZIA NON PUO' SPARARE. Tutto in doveroso maiuscolo. Classe 1974 e annoverato nella rosa dei migliori film di tutti i tempi, stando alla classifica stilata da me stesso. Lo si veda come un poliziottesco (certo, i temi sono quelli: rapimento, inseguimenti, volanti degli sbirri..) o come un noir, non importa. Il bollino di garanzia reca il nome di Umberto Lenzi e già questo può bastare.
Trama: il malvivente Giulio Sacchi (Tomas Milian: che performance, signori) arruola due compari per il sequestro di Marilù, figlia del commendatore miliardario Porrino, "padronaccio" di Jone, ragazza dello stesso Giulio. Un omicido tira l'altro. Da sequestro a massacro, da massacro a eliminazione sistematica. Fine. Violenza chiama violenza. Sangue chiama sangue. Una faida continuamente aperta.
In Milano odia c'è tutto il meglio del meglio, la crema del filone poliziottesco italiano, ma con un tocco di classe in più: tutta la violenza è sostanzialmente gratuita. A palate, per tutto il film,
gratuita. Quasi in un elogio.
Non basta il vigile stroncato nei primi tre minuti. Subito dopo un inutile sequestro di un bambino rilasciato dopo l'inseguimento.Altro vigile. Poi i vecchietti ("Che bisogno c'era di ammazzarli?") : il fornitore d'armi (o meglio, di "tre rosari") e la moglie ex puttana ("Ti faranno entrare in purgatorio dopo tutte quelle marchette?"). Poi il sequestro.Ingoio di amfetamine in un goccio di alcool e Grand Guignol. Trionfo del cinismo "sacchiano".
Straordinario vedere come in questa pellicola non ci sia spazio per i personaggi buoni. La bontà viene radicalmente oscurata, soppressa. Non c'è vigile o commissario che tenga. Non c'è quel biondino fighetto di Maurizio Merli a fare lo sceriffo eroico. Henry Silva qui ne esce come un patetico impotente (almeno prima del gran finale), un agente di polizia dalle mani legate, stretto alle palle dalla sorda burocrazia legale.
Ma Vi prego, non ribaltate il film in questione spacciandolo come una "denuncia alle limitazioni del corpo di polizia". Non stiamo parlando certo di Milano Calibro 9, o qualche altro (nobilissimo eh) pezzo di filone poliziottesco.
La polizia qui non può sparare. Esattamente. Pare non aver voce in capitolo: indagini velleitarie, sempre troppo in ritardo rispetto all'omicidio.
Sacchi dirige il tutto. E il noir indossa i panni dell'horror nella celebre scena della villa.
Ecco, in quell'episodio è presente ogni sfumatura di violenza, al limite del grottesco: l'umorismo nero dei tre sequestratori ("Chiudi la ragazza nel cesso..e tira l'acqua"), gli imperativi categorici, il vecchio Brambilla immediatamente eliminato e poi..l'amore universale. Quale film dell'orrore, quale thriller, quale Hostel oggi ha mai parlato di Amore Universale? Quale parossismo più divertente di un Tomas Milian con le brache alla bocca di uno sventurato borghese, coatto a forza di mitra in un approccio alla fellatio?
E poi la giostra. Piccolo inciso: domenica pomeriggio ho rispettato una tradizione di ormai un lustro andando a vedere l'ultimo capitolo della saga Saw. Anche in quel caso, come ultima prova di tortura: una giostra.
Trovo però che le giostre del '74 siano un tantino più depravate: corpi appesi a un lampadario, denudati e spinti a ruotare, emulando un'alcolica roulette, in cui trova sfogo solo la perversione sessuale (Ma come, Giulio Sacchi non era frocio?). Le carni che girano, in una danza coercitiva, stroncata da un'isterica raffica di mitra, quando il gioco non è più divertente.
A massacro compiuto, segue la permanenza di Marilù in uno squallido stanzino di una navicella abbandonata e arruginita.
Bella Marilù..ah,niente paura.Perchè quando papà scuce..torni a giocare a tennis..e a farti sbattere in macchina,zozza.
Niente viene risparmiato, aboliti perfino i convenevoli in un rapporto umano. Ma in "Milano odia.." solo il buono è umano, per il resto parliamo di Almost human. E negli horror, come nei più sfrenati poliziotteschi, il buono non arriva mai illeso e vincente ai titoli di coda.
Un 10 e lode ai dialoghi. Milian vince su tutti. Benchè spesso e volentieri sotto effetti psicotropi per calarsi meglio nella parte, resta impeccabile su tutti i fronti. Certo, non c'è da aspettarsi la battuta grassa e burina der Monnezza o le freddure idiote del Gobbo.
Giulio Sacchi è un ente sui generis, un'altra angolazione interessante della misantropia, a impostazione: cinismo lucido. Quella Milano dei palazzoni non è che un pretesto. La Milano/giungla non è che uno sfondo, una piccola giustificazione per il sadismo di una mente deviata. E infatti, in quella Milano dei bassifondi non c'è spazio per la lungimiranza, per i sentimentalismi ("Hai preso la cottarella?"). La violenza chiama e non ha fretta di cessare ("perchè chi ha fretta ha paura").
Nella Milano di Sacchi non c'è tempo nemmeno per l'affetto. Nè il tempo, nè la capacità, nè tantomeno la voglia. Jone non è che una pedina. L'antieroe non nutre amore. Non si tratta di uno di quei film in cui il misantropo coltiva almeno un rapporto caloroso, benchè accecato dall'odio. Nulla. L'amore equivale a puro materialismo, l'indifferenza è presente pure nel sesso-sfruttamento di Giulio.
Niente di importante, solo l'incasso da mezzo miliardo, e un buon motivo per averlo: o la grana o la miseria. In mezzo nulla. Solo andare fino in fondo..finchè ne resta uno, uno solo che può mandarci in galera. Antitesi dell'umanità, distorsione della moralità, un bavaglio in bocca ai buoni. "Milano odia" è tutto questo.
Voto:10 Migliore frase: "Sai quanto fa mezzo miliardo,tabaccaio che non sei altro?" "..cinquecento milioni" "CINQUECENTO MILIONI,guarda come si riempe la bocca..come una zoccolona dell'Idroscalo"
Stefano
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